Piccole lanterne, antiche magie
(con Serena ai giardini di sera)
Quella luce rossa laggiù…
Un puntino dietro la siepe, vedi?
Serena vuol toccare con mano
in quel niente che vedono i bimbi
e andiamo.
Ma come dirle del miracolo che vedo
anch’io ora di una lucciola
calata nell’aria greve dei cementi.
E’ una lucciola tesoro. Cos’è?
Una piccola lanterna, un’antica magia.
Alla tua età noi fanciulli
le lucciole le avevamo cucite sulla pelle
nel buoi dei sentieri, scintille rosse a frotte
a correre e danzare tra gialle calendule
e fiori dolci della luna, mischiate
ai bagliori delle stelle.
Calendule, fiori della luna cosa sono?
Come a dire a lei bimba nel suo regno
di giochi virtuali di un tempo di cieli arcobaleno
e acque terse in cui erano voli di farfalle maculate
e dorati calabroni a stupire noi bambini?
Cosa dirle dei sogni che avevamo
appesi alle piane verdi tra le fronde dei limoni,
degli urli, delle grida lungo il fiume nei tramonti
uniti alla voce delle rane, al ballo delle libellule?
Guarda nonno quanti messaggi dagli amici
e mostra il cellulare; vuoi vedere
un fumetto “Manga” che mi piace?
Accende, spegne e riaccende lo Smartphone
stregata dai mille colori dei suoi animati
incantesimi mentre torniamo nel grigio dei palazzi.
Carmelo Consoli
Firenze
1° classificato, 2008
La ragazzina dalle Nike
Silenzio! Urlò la prof.
La cosa non la riguardava,
lei di silenzi ne aveva già troppi.
I compagni chiusero le bocche,
anatre sospese prima del temporale.
Le conosceva bene lei le anatre.
Da molti pomeriggi le studiava,
le avvicinava con le molliche.
Non che le piacessero particolarmente
però serviva rimanessero lì sulla riva.
Per il suo tuffo nella smemoratezza
non voleva lo starnazzare.
Solo lievità di canne
per liberarsi di quel suo corpo vio-la-to.
Riemerse la domenica mattina,
raggiante di morte tra gli orecchini indiani.
Ancora una scarpa della Nike
Allacciata sulla gonfia caviglia.
In un quaderno a quadretti
-le a perfettamente rotonde,
le i con il punto a spillo –
i nomi dei bulli di quartiere.
Morire per fucilare silenzi.
Laura Moser
Martignano (Trento)
2° classificato, 2018
L’odore dei tigli
Dentro il cappotto di colori combinati a caso tra loro,
stava avvolta questa donnina, vecchia da parere
rassegnata all’età e agli acciacchi da scontare.
Aspettava il bus, dove pensilina per riparo non c’era
e si bagnava alla pioggia di una tarda primavera,
pur tenendo un ombrellino a piccoli fiori sopra la testa.
Vicino le passavano studenti sbraitanti, carichi di zaini
e gonfi nelle loro giacche a vento colorate.
Qualcuno la urtò, senza scusarsi, ma lei non protestò
di quella goffaggine giovanile che un poco invidiava.
Pensò che avrebbe atteso più volentieri se l’aria
avesse profumato dell’odore ancora invece assente dei tigli
o dello stridio di rondini che ormai in città non arrivavano più.
Salì infine a fatica sull’autobus senza nessuno l’aiutasse.
Il malconcio bus, ferito a un fanale e sverniciato su un fianco,
s’allontanò nel traffico, sparendo presto allo sguardo.
Lì dov’ero, si poteva vedere lo stesso cielo carico di pioggia
cui ci si rassegna in giornate in cui i bus paiono vagare
senza direzione e la gente non sa se andare o restare.
Le vecchiette vestono in modo disordinato e gli ombrelli
non riparano granchè. Gli studenti fan comunque baccano.
Da questa finestra del reparto d’oncologia si rincorre la vita,
si fatica a decifrare le stagioni e non si sa più se invidiare
il coro dei giovanotti ormai a scuola o la vecchina ciondolante
sul predellino. Guardo il mio starmene a fissare gli uni e l’altra,
provando, chissà se a pregare in silenzio, oppure a gridare.
Sperando un buffo sfacciato di vento porti l’odore dei tigli.
Bruno Centomo
Santorso (VI)
3° classificato, 2018
L’amore, qui
Bisognerebbe tornare a parlare
d’amore, a parlarci, più per bisogno
di noi, delle mille cose mai fatte
o scontate. Si sogna così a volte
tra i cortili assolati di marzo o
lungo le strade di periferia
dove è bello stringersi che ci scappa
un bacio ogni tanto. Certo si tratta
di vita mi dici postando una foto
o scrivendo poesie di getto
mentre sorridi e immagini l’azzurro
sui tetti a Milano e da lontano
saluti chi passa e sa che ci sei.
E c’è un’aria buona in giro che prende,
tu respiri un po’ il mondo, via Feltre o
le piazze aperte alla sera coi bar
e i ragazzi a gara lì intorno. Forse
c’è un cielo per tutti anche qui ben oltre
i palazzi e si è piccoli ma grandi
a guardarlo da sotto che ti immagini
non possa finire davvero. O forse
ti basta di meno, pensare a un ti amo
come si fa naturalmente, quasi
fossimo radice o foglia, la parte
della terra che rende qualche linfa
finchè ci si sveglia qua e là poi accade
il giorno e va senza risparmio e noi
con lui, già incompiuti, così inespressi.
Ivan Fedeli
Ornago (MB)
Segnalato, 2018
Quando te ne andrai
Quando te ne andrai
Non vi saranno scie di farfalle in festa
Né canti di bambini nel cortile,
forse nemmeno il passaggio di un usignolo in cielo
sarà segno del tuo volo interrotto.
Cercheremo fra le nuvole una traccia,
il miracolo che sappiamo non esserci stato.
Mancherai come manca il latte
Alla bocca di una culla.
E non ci sarà una ragione a spiegare
Perché le somme degli estremi danno zero.
Non ci sarà il graffio di una biro
A disegnare una linea continua,
il limite che tende all’infinito.
Saremo solo io e te
A vivere l’equazione di un ricordo,
tutto quello che rimane del tratteggio spezzato
che congiunge il Nulla all’Universo.
Io con le cuffie assorto ad ascoltare
Il precipitare eterno della voce,
lassù, divina, in mezzo agli angeli del cielo.
Dario Marelli
Seregno (MB)
Segnalato, 2018
Il padre prodigo
La prima volta che videro a Vetto, in Valtellina, un ciclista, in discesa: el vùla el sec…
Forse perché della fatal pace tu sei la forma
che improvvisa mi investe in questa sera di dicembre
a me si caro vieni o padre
su questo marciapiede di confine
fra i resti di negozi pakistani
da riaffittare, compraoro spenti
e luminarie che invitano a un Natale
di pace, mercatini e viaggi organizzati…
Forse sei qui così
vivo e totalmente animato
come un cane sulla soglia di un pasto
morso dalla fame, a riscaldarti…
Conservo la tua giacca di pelo d’acrilico e
finta pelle: indossala mentre accendo la fiamma
della corona dell’ avvento…
Lo so: un purgatorio in transito
o un paradiso estatico
cedi per un po’ di brodo tiepido
un pane che si sbriccia
un bicchiere di buon rosso…
Attaccato a un tubo clinico
ti sei spento in un rantolo muto…
Adesso maceri gli acini
nel torchio del mio affetto
da un bordo bianco
in cui cola il tuo vissuto
(mentre il lete è in agguato…)
Mi chiedi, dall’asfalto, un po’ di posto
in questa vita che hai condiviso:
l’unica dove hai urlato
l’unica dove hai riso
Massimo Parolini
Trento
Segnalato, 2018
Ipotesi
Ho nelle mani solo brandelli di bufere,
fragili frammenti di ricordi sbiaditi,
un amore felice, forse solo sognato
e chiudo tutto in un barattolo di vetro.
Lo etichetto con una parola strana:
“tutto” quello che resta, come la scia
di una nave che ha perso la rotta
Penso di includere ogni cosa,
di concentrare con una parola una vita
ma è solo una parola gonfia d’arroganza
E’ la pretesa che non si escluda nulla
e mi domando dove conserverò gli aquiloni
e le farfalle colorate e le margherite,
le corse senza fiato e i cigolii delle altalene
Dove nasconderò le lacrime e le assenze,
i demoni notturni e le parole taglienti,
i tappi di spumante e le foto mute
di istanti che rimangono immobili
mentre il tempo divora una vita
Guardo l’orologio e rubo un’ora per scrivere ancora un verso
Ma non sarà mai tutto ciò che ho vissuto.
Marisa Provenzano
Catanzaro